17 agosto 2004

NON SI VIVE DI SOLI DOLMEN E MENHIR (Part I)

uno spera di andare in ferie per tanti motivi: perché ha caldo, perché ha prenotato 2 settimane in un villaggio all-inclusive, perché non ne può più di lavorare, perché non ne può più di fingere di lavorare, perché ha prenotato 2 settimane in un villaggio all-inclusive per ovviare al caldo e allo strenuo sforzo attoriale di fingere di travagliare.
ora, dopo anni di adattamento coercitivo a mery terry e alla sua funambolica e alchimistica pietanzeria, mi merito anch’io un rigenerante strappo dalla vita milanese. così, per staccare il cordone ombelicale dal mio galbanistico appartamento ambrosiano, ho sottratto 2 settimane dal calendario e ho navigato verso la sardegna: sole, mare, acqua, bagni.
dopo qualche giorno di spiaggia, lontana da ogni pericolo potentino, ho riacquistato un notevole portfolio di caratteristiche idonee alla vita sociale: umore da lulù dei fiori, colorito da heidi, abitini alla memole. solo i capelli, per via del sole, mi appropinquano al look di creamy, ma si tratta di un irrisorio neo estetico che posso briosamente superare.
arrivo in spiaggia che il caldo opprime parecchio, non tira un refolo di vento. essendo in una caletta riparata ed esclusiva, non ci sono ombrelloni quindi io e i miei compagni di tintarella boccheggiamo come merlani gialli finiti ai lidi di comacchio.

-cristobal, almeno uno sputo d’ombra!

invoco le tenebre con tale fervore da sembrare il membro di una novella setta satanica. ma non sembra esserci via di scampo. e continuo nella mia mimica da merlano.
poi, improvvisamente, il sole si eclissa e si fa buio su tutta la terra. un’enorme macchia scura copre tutta la rena e viene a donarmi un po’ di ristoro.

-ah, meno male! nuvola benedetta!

il mio vicino di asciugamano, sentita la mia gaudiosa esclamazione, mi rivolge un appunto.

-scusi signorina, ma qui di nuvole non c’è traccia! guardi il cielo: è limpido e chiaro!

apro gli occhi con una fatica pari a quella di un affetto cronico da congiuntivite.

-ha ragione! il cielo è sgombro che sembra un ufficio comunale 5 minuti prima della chiusura! e allora da dove viene questo insospettato sollievo?
-forse da quel nuraghe lì dietro! sinceramente non mi ero accorto che ci fosse, ma sa com’è, uno in vacanza è più distratto del solito…
-vero, vero.

nuraghe? non ci sono nuraghi sulla spiaggia. sono 5 giorni che vengo qui e avrei notato un sardissimo nuraghe. mi giro verso l’elio per decifrare da quale area della tavola periodica arrivi l’elemento che ottunde la luminosità solare. inizialmente, puntando il bulbo oculare verso la più lampante fonte di calore e nitore, rischio una cecità alla saramago. poi, dopo essermi passata in rassegna una serie di allucinogeni pallini blu e verdi, riesco a distinguere una sagoma che si staglia nel disco astrale. più che un nuraghe si direbbe un trullo, un ammasso concentrico di sferiche e sassose durezze. ma questo trullo si muove e poi siamo in sardegna, non in puglia. ma allora cos’è che è grosso e imponente come un monumento preistorico, fatto a strati successivi e che però si muove? dev’essere qualcosa di enorme, pesante, spropositato, pachidermico, assolutamente anti-moderno… anti-moderno, moder… nooooooooooooooooooooooooooooooooo! NO NO NO NO NOOOOOOOO!!!
esiste solo un appartenente ai 5 regni degli esseri viventi che riassume maestosamente tutte queste caratteristiche, ma in questo momento DEVE trovarsi a km e km di distanza da me! non può essere qui, non può essere lei, non può!

-iléééééééééééé!!!!!!!!!!!

è lei.

-ilééééééééééééé, ma che ci ztai a fare in zardegna? ma tu guarda che deztino! zei proprio a porco cervo dove zto io!
-allora, chiariamo: innanzitutto si chiama PORTO cervo, non porco cervo, che poi rischia che ti magni pure questo…
-quale dei due?
-dei due cosa?
-il porco e il cervo! sobbuoni entrambe!
-ma checcazzo è? a stare al sole hai perso l’uso della lingua italiana? vabbeh che ne hai sempre fatto un uso del tutto random, ma almeno qualche rara combinazione ti riusciva casualmente comprensibile a noi del genere umano!
-e mò cc’hoddetto?
-porco e cervo sono maschili quindi devi dire “entrambi”, non “entrambe”!
-ecchessarrammai!
-oh, ti sei bruciata del tutto i neuroni coi raggi UVA? o ti sei ingollata pure quelli?
-ma che ztai addì?
-e che ne so, tu trangugi tutto quello che ha sembianze culinarie anche se solo lessicalmente: porto CERVO, raggi UVA…
-madò, quando zei stugna!
-stugna?
-stugna, stugna!
-cosa vuol dire stugna?
-che sei stugna! che hai fatto la niverzità a fare se poi non zai le coze? mica ti pozzo inzegnare tutto io!
-MICCA con 2 c, porco cazzo! quante volte te lo devo dire? lo sai che mi irrita detto con una C sola!
-iléééééééééééééé, a te ti irrita il ritema zolare, mica io! e adezzo zpoztati che devo prendere residenza in questa zpiaggia!
-sì, ma prendila per sempre la residenza!
-eh, magari! purtroppo pozzo ztare zolo pochi giorni perché poi devo tornare a lavorare!
-e quanto stai?
-45 giorni
-ah beh, solo 45 gior… 45 GIORNI? madonna, hai maturato tutte queste ferie?
-ferie?
-eh: come fai a stare a casa 45 giorni se non li hai di ferie?
-eh, ci zto.
-in che senso?
-15 giorni zò di ferie e altri 30 dico che ho il vaiolo!
-il vaiolo? ma sei scema?
-e perché?
-perché il vaiolo in italia è stato debellato da anni!
-ah, mò magari mi zò sbagliata e non è il vaiolo ma un’altra malattia… comunque ho 30 giorni di malattia.
-infatti: beata te che lo sai prima.
-AHOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!
-e adesso che fai? che ti urli, che sembri un quadro di munch sotto effetto di acquaragia!
-chiamo al resto della famiglia. ahoooooooooooooooooooooooooooooooooooooo!!!

nel mio cervello e nello strato più superficiale della mia coscienza i termini “mery terry” e “famiglia” non si volevano associare. ogni volta che si avvicinavano si respingevano come i poli simili di due calamite. poi, a causa di uno sconvolgimento inaspettato del campo magnetico del gennargentu, ho realizzato. non solo mery terry era lì, vicino me, ma ben presto avrei visto sfilare tutti i rizomi del suo albero genealogico.
e così, girando lo sguardo verso il punto in cui prima si stagliava un ipotetico nuraghe, vedo profilarsi una processione di affiliati scamorzici in un numero pari ai partecipanti della via crucis in vaticano durante la quaresima. e la passione, stavolta, è tutta per me.

E siccome è facile incontrarsi
anche in una grande città.

16 agosto 2004

LAMBRUSCO, CASTAGNE E POP CORN

non mi ricordo se sono stata una bambina precoce. se a 3 anni sapevo già leggere e scrivere, se a 5 facevo il cubo di rubik con una mano sola e se a 8 predicavo nel tempio. fatto sta che si è ritenuto necessario mandarmi a scuola.
la scuola era un posto fico, dove potevo farmi tanti amici, mangiare merendine, fare l’intervallo e soprattutto imparare a scrivere. il primo giorno che arrivai a scuola trepidavo di emozione: finalmente le stanghette che mia madre si ostinava a farmi copiare per farmi scrivere “ILENIA” avrebbero avuto un senso. e io avrei potuto farne buon uso da grande, quando sarei diventata una famosissima e stimatissima tabaccaia. anche se non avevo del tutto accantonato l’idea di fare la prestigiatrice.
ma il primo giorno di scuola ricevetti una mostruosa delusione dal sistema scolastico italiano: le maestre si presentarono tutte gioiose, ci convinsero che saremmo stati bene, che a scuola ci saremmo divertiti un sacco e che quelli che stavano per arrivare erano i migliori anni della nostra vita. ma di leggere e scrivere neanche l’ombra. io mi ero convinta che la scuola era bella, c’era quella faccenda delle merendine in ballo: non c’era bisogno di tirarla tanto per le lunghe. e invece niente. l’affaire “scrittura” rimaneva top secret, protetto meglio che dagli uomini di quantico. le maestre continuavano a citare il loro curriculum vitae, mortae e miracolae e a spataffiare quanto fosse bella la scuola, che magnifica avventura fosse apprendere, che audace e rocambolesca esperienza fosse condividere la conoscenza. questo concetto l’avevo afferrato al primo giro, anche se alla parola “condividere” un brivido mi aveva percorso la schiena: credevo mi si chiedesse di spartire le mie merendine. per fortuna si trattava solo di condividere competenze varie, micca cibo cariatorio.
mentre le maestre tenevano la loro democratica conferenza sul mondo di oz e sul sentiero di mattoni gialli, la situazione tra i banchi degenerava. laura, la bambina puzzona che negli anni avrebbe imperterritamente continuato ad appestare, continuava a piangere perché voleva stare con sua mamma. probabilmente uscire dal miasma nucleare di casa sua le aveva provocato crisi di astinenza e le lacrime le scendevano a fiumi come cagionate da reazione allergica alla combinazione atmosferica di ossigeno e azoto. quella roba necessaria a respirare, insomma. lei, abituata ad inalare esalazioni di grasso fuso e soffritti all’aglio, non c’era avvezza: normale che si sentisse così spaesata.
il primo giorno di scuola, dunque, fu una vera fetecchia. meno male che mia madre, al ritorno, mi fece trovare un fiammante vestito di barbie sul divano. era il regalo per non aver pianto a dirotto come laura e soprattutto, credo, per non emanare il suo stesso nauseabondo tanfo.
e fu sera e fu mattina: secondo giorno di scuola. carica di aspettative e lontana anni luce dalle modifiche della legge moratti, tentai di capire se finalmente mi avrebbero insegnato a scrivere o se questa storia dei sussidiari fosse tutta una bufala messa in piedi dal mondo editoriale per incrementare i guadagni.
così mi sistemai al mio banco estote parati come baden powell, pronta ad apprendere qualsiasi nozione calligrafica. ero armata come rambo, con una staedler HB tra gli incisivi e una gomma lebez incastonata tra pollice e indice.
ecco che, nel furore generale, le maestre fanno l’annuncio.

-bimbi, oggi cominciamo a scrivere. ma quale frase ci accompagnerà per tutto l’anno? qualcuno ha qualcosa da suggerire?

allora, signor maestra: o ce lo dice prima che dobbiamo essere creativi o poi si deve aspettare delle crisi di panico. come faccio a inventarmi una frase da scrivere così, su due piedi? cosa posso dire?

-io signora maestra, io ho un’idea.

era lui: enrico fantini. e questa era la sua prima promulgazione. negli anni a seguire enrico fantini si sarebbe rivelato il maggior sex symbol delle elementari e avrebbe schiantato un sacco di tope-bambine. per il momento, però, era soltanto un tenero frugoletto che aveva avuto un’intuizione.

-dimmi enrico, cosa possiamo scrivere?

la maestra lo conosceva già troppo bene per i miei gusti: c’era un particolare che non quadrava, ma il secondo giorno delle elementari non era il caso di fare la sindacalista dei bambini. dovevo studiare la situazione capire come compitare. o computare.

-non so cosa possiamo scrivere, ma io avrei portato dei ricci di castagna che ho raccolto domenica a serramazzoni!

bambino borghese di merda. io per andare a serramazzoni dovevo aspettare la colonia estiva del prete, nel frattempo andare tutti i sabati in parrocchia, imbustare gli avvisi per la comunità e pulire l’appartamento di don gasparo. e lui, così, se ne esce bello bello e va di domenica sull’appennino a raccogliere ricci. magari non doveva nemmeno fare il turno dei piatti, quel piccolo burnettiano lord fauntleroy.

-vieni qua, enrico e fammi vedere i tuoi ricci. e falli vedere anche ai tuoi compagni, che non sono stati a serramazzoni come te!

piccola maestra di merda: è vero che io non sono stata in montagna, ma non è che la mia esistenza valga meno per questo. io non lo invidio enrico fantini, a me piace alessandro malpighi, peraltro. c’ha le lentiggini e gli occhi verdi e gli piacciono un casino gli scimpanzè.
nel frattempo enrico mostra orgoglioso alla classe i suoi ricci, che facevano veramente cagare. erano ricci di castagna, morti. fossero stati ricci di mare, vivi, ci si poteva fare la spaghettata. con 5 castagne in croce non ci potevamo nemmeno fare l’arrostita di san martino.

-ma che beli, enrico! bambini, non sono meravigliosi questi ricci? su, ripetiamo insieme: enrico ha portato i ricci di castagna, enrico ha portato i ricci di castagna…

morale della favola: per tutto il primo anno di elementari, per imparare l’alfabeto e migliorare le arti calligrafiche e incunaboliche, riempimmo quaderni pigna di scritte in stampatello, corsivo, corsivo maiuscolo, corsivo minuscolo e times new roman che recitavan così:

ENRICO HA PORTATO UN RICCIO DI CASTAGNA.
ENRICO HA PORTATO UN RICCIO DI CASTAGNA.
ENRICO HA PORTATO UN RICCIO DI CASTAGNA.
ENRICO HA PORTATO UN RICCIO DI CASTAGNA.
ENRICO HA PORTATO UN RICCIO DI CASTAGNA.
ENRICO HA PORTATO UN RICCIO DI CASTAGNA.
ENRICO HA PORTATO UN RICCIO DI CASTAGNA.
ENRICO HA PORTATO UN RICCIO DI CASTAGNA.

la noia imperava sovrana in quella scuola elementare ma la precisione ortografica vinceva suprema. così, alla 10.456esima volta che scrivevo daddio ENRICO HA PORTATO UN RICCIO DI CASTAGNA, mi sentii arrivata. quell’anno scolastico fu un inferno, anche perché scrivere di ricci di castagna in primavera era alquanto vintage. ma la maestra perseverava.
scoprii qualche tempo più tardi che enrico fantini ospitava tutti i giorni la maestra a pranzo e andava a casa sua in campagna alla domenica a vedere i cavalli e le mucche. inutile dire che, per non scatenare una rivoluzione orwelliana e finire come i maiali, non dissi nulla ai miei compagni.
quando la scuola finì, io non ero felice perché andavo in vacanza (mi aspettava la colonia del prete e i turni di pulizia in cucina) ma perché capivo che era finalmente terminata l’era dei ricci di castagna. in seconda elementare, ormai perita di bella scrittura, non avrei avuto bisogno delle esperienze bucoliche di enrico fantini per acculturarmi e sarei finalmente diventata una proto-tabaccaia. ma l’insidia si celava infingarda dietro i campi d’oro.
il primo giorno di scuola della seconda elementare ci ritrovammo nei nostri banchi di fòrmica: io ero la solita holly hobbie coi capelli lunghi e neri, alessandro era sempre splendido e lentigginoso e laura non piangeva più. ma puzzava ancora. ed enrico? enrico era lì, con lo sguardo timido e le mani dietro la schiena. la maestra non era cambiata e ci accolse come figliol prodighi. ma non ce ne eravamo andati di nostra volontà, era il ministero che imponeva che le lezioni finissero: tutte quelle feste non avevano molto senso.

-allora bambini, dove siete stati quest’estate?
-in colonia dal prete!
-bene, e tu?
-in colonia dal don!
-ah, e tu alessandro?
-in colonia.
-beh, vedo che siete stati tutti in colonia! ma tu enrico? dove sei stato tu?

dentro di me pregavo intensamente, come non avrei fatto mai in tutti gli anni che avrei frequentato la parrocchia: “non dire che sei stato a serramazzoni, no a serramazzoni, no a serramazzoni, ti prego no!”

-signora maestra, sono stato a…

a viterbo, a margherita di savoia, a buchenwald, dove vuoi…

-sono stato a…

a? parla sporco fauntleroy, dillo, dai!

-sono stato a parma dai miei nonni…

pfiu! pericolo scampato! niente ricci da descrivere o disegnare! evviva! il genio creativo vince sulla ripetitività ciclica!

-… e ho raccolto questa pannocchia di granoturco, che ora mostrerò ai miei compagni!

ENRICO HA PORTATO UNA PANNOCCHIA DI GRANTURCO.
ENRICO HA PORTATO UNA PANNOCCHIA DI GRANTURCO.
ENRICO HA PORTATO UNA PANNOCCHIA DI GRANTURCO.
ENRICO HA PORTATO UNA PANNOCCHIA DI GRANTURCO.
ENRICO HA PORTATO UNA PANNOCCHIA DI GRANTURCO.
ENRICO HA PORTATO UNA PANNOCCHIA DI GRANTURCO.
ENRICO HA PORTATO UNA PANNOCCHIA DI GRANTURCO.
ENRICO HA PORTATO UNA PANNOCCHIA DI GRANTURCO.


All'uscita di scuola i ragazzi vendevano i libri
io restavo a guardarli cercando il coraggio per imitarli

15 agosto 2004

IL MIO PERSONALISSIMO SEVEN

Driiiiiin…

-pronto?
-pronto, mamma?
-chi è?
-mamma, sono io!
-io chi?
-cristobal mamma, sono figlia unica, non dovresti avere grossi problemi a decifrare chi è che ti sta chiamando “mamma” al telefono!
-non ti avevo riconosciuto, hai una voce strana: hai poppato di cocaina?
-MAMMAAAAAAAA! io non fumo neanche… e poi si dice PIPPARE, non poppare.
-ah, non si dice poppare? pensavo che la cocaina era liquida tipo… coca cola.
-FOSSE liquida.
-allora è liquida, avevo ragione!
-no no no no: la cocaina non è liquida. ma tu dovevi dire “pensavo che la cocaina FOSSE liquida”: devi usare il congiuntivo.
-uelà, cuccarini, vedi di non fare troppo la precisini che a parlare ti ho insegnato io quindi tu a me non hai da dire un bel niente… anzi: tu a me non avessi da dire un bel niente. tò mò lè!
-vabbeh, lasciamo stare… e poi scusa, come mai ti viene il sospetto che tiro di cocaina?
-ne ha parlato mirabella a elisir.
-della cocaina?
-sì, dice che è una piega dei giovani d’oggi.
-piaga.
-piaga?
-si dice piaga dei giovani d’oggi, non piega.
-cuccariniiiiiiiiiiiii…
-vabbeh, lascio stare. e quindi siccome mirabella dice che le nuove generazioni sono preda dei vizi capitali, devo per forza rientrarci anch’io?
-beh, effettivamente mi rendo conto che tu non fai parte della categoria.
-oh, meno male che ti rendi conto che non sono una drogata!
-ma che drogata! io mi rendo conto che tu non fai più parte dei giovani!
-MAMMAAAAAAAAAAAAAAAAA!
-ilenia, ragiona: ormai hai 30 anni, hai perso il fidanzato, non sei iscritta all’INPS… è un attimo che ti scende un rene o ti viene il diabete e poi vai in menopausa!
-scusa mamma, come fai di cognome… franzoni?

scoppia a piangere.

-e adesso cosa fai, piangi?
-certo che piango! ti sembra che io possa avere una figlia che non sa neanche come mi chiamo di cognome? e quando muoio, cosa ci fai scrivere sulla lapide se non sai neanche qual è il cognome della tua unica mamma, eh?
-ma mamma, era una battuta!
-sì sì, batti, batti! e intanto non sai nemmeno il cognome di tua madre: adesso le indicazioni per la lapide le lascio a tua cugina, che mi fido di più. ma dimmi te se 30 anni fa, quando ho partorito, potevo immaginare che avrei avuto una figlia così.
-così come? cos’ho che non va? sono bravissima: non mi drogo, non fumo, non bevo neanche…
-non è vero.
-non è vero cosa?
-non è vero che non bevi, io lo so! guarda che ci ho fatto caso che il limoncino nella bottiglia cala! e com’è che cala, eh? evapora? certo che evapora, evapora nella tua pancia! ti verrà la cirrosi a 35 anni, ti verrà! e io non avrò mai dei nipotini… vabbeh che se adesso non hai nemmeno il fidanzato, come vuoi che a 35 anni io abbia dei nipotini…
-MA LA PIANTI? ADESSO MI HAI PROPRIO SFRANCICATO IL CAZZO. MI AVETE ROTTO TU, LE TUE PARANOIE, MICHELE MIRABELLA, LA LAPIDE E IL LIMONCINO!

questo è quello che avrei voluto dire. in realtà quello che ho pronunciato esattamente è stato qualcosa tipo…

-MAMMA, NON DISPERARE: SE HANNO DATO UN DAVID DI DONATELLO A STEFANIA SANDRELLI, VUOL DIRE CHE C‘È UNA SPERANZA PER TUTTI!
-cosa fai, critichi? lo sai che la sandrelli ha fatto “il bello delle donne”?
-senti mamma, facciamo così: tronchiamo questa telefonata?
-certo, scappa davanti ai problemi, non affrontarli, sai? è così che si vive..
-mamma, so che ti stupirà ma…NON ESISTONO PROBLEMI. non mi drogo, non fumo e soprattutto non sono prossima alla menopausa. e adesso, per favore, lascia che ti chieda una cosa importante, che è il motivo per cui ti ho telefonato. sai se per caso..
-ciao.
-ciao cosa?
-devo andare.
-ma mamma, ti sto chiedendo una cosa importante, un attimo.
-non posso, sta iniziando forum.
-forum?
-certo, sai quante cose sulla legge si imparano a guardare forum? dovresti guardarlo anche te ogni tanto!
-ah sì? e tu cos’hai imparato?
-senti, polemichina, non fare tanto la furba che ti ho evitato un sacco di casini grazie a santo licheni.
-sarebbe?
-il giudice!
-no, quello l’ho capito. volevo dire: che guai mi hai evitato?
-hai presente il tuo gatto?
-sì, barabba.
-ecco, secondo un decreto legge… aspetto che mi sono presa gli appunti e l’ho scritto qui su un foglietto… aspetta eh… ma dove l’ho messo…. ah, qua! allora: secondo un decreto legge del…. insomma, tu devi tenere il gatto nei tuoi confini.
-ma è un’assurdità, micca lo posso chiudere in casa!
-no, però gli ho messo il guinzaglio e l’ho legato al filo dei panni: lo tiro dentro anche lui quando le mutande sono asciutte…

mi chiedo cosa succederà quando mia madre abbandonerà il telecomando e imparerà ad usare internet.
forse è tardi e rincasare vuoi?
no, che non vorrei

11 agosto 2004

FOREVER, FOREVER, YOU’LL STAY IN MY HEART

avrò avuto 15 anni. o forse 20. fatto sta che andavo ancora alla santamessadelladomenicamattina e passavo sempre a prendere la mia amica sara, che abita di fianco a me (secondo l'ultima versione aggiornata della lonely planet dell'alta emilia-romagna, la distanza massima stimata tra casa mia e quella della sara è di 1 metro circa. centimetro più, centimetro meno).
la messa era alle 10.30, era quella per ragazzi: ti spiegavano il vangelo con parole semplici e atte a farti comprendere quanto la storia di gesù fosse la più bella favola antica mai scritta. a me piaceva un casino la biografia di gesù e andavo a messa per sapere come andavano a finire le fantastiche avventure che mi avevano interrotto la domenica precedente. in quel periodo guardavo assiduamente "beautiful" e mi ero convinta che gesù fosse ridge, giovanni battista fosse thorne e maria maddalena fosse brooke. l'unica figura che non mi tornava era quella di giuseppe, che trombava molto meno di eric forrester. e in più aveva un figlio a carico.
quella mattina mi sveglio di soprassalto e guardo l’orologio.

-cazzo*, le 10:25! dio com’è tardi, dio com’è tardi, dio com’è tardi! meno male che sto arrivando da te, dio!

*a quell’epoca non dicevo ancora “porco cazzo”, ero giovane e innocente. andavo alla santamessadelladomenicamattina, io.

mi alzo di corsa, infilo il primo vestito bianco e accollato che trovo in giro, inforco la bicicletta e faccio 1 metro. inchiodo. suono il campanello della sara. e anche quello della bici, finché ci sono.
niente.
risuono.
ri-niente.
tri-suono.
finalmente esce sara, con indosso una vestaglia alla isadora duncan e un’incedere alla martha graham.

-sara, cazzo, sei ancora messa così? sono le 10:28 e abbiamo solo 2 minuti per arrivare a messa puntuali, prima che del confiteor…
-e cosa c’entra il confiteor?
-lo sai che se arriviamo a messa iniziata don gasparo recita il confiteor ad personam!
-cosa vuoi dire, illy?
-dai, che invece di “per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa” dice davanti a tutti: “per vostra colpa, vostra colpa, grandissima colpa del vostro ritardo… vero ilenia e sara? l’ho visto che siete arrivate adesso e che vi siete nascoste dietro la fonte battesimale… per punizione dopo andate a segare il prato del campetto da calcio… un lavoro di una mezz’oretta… e adesso ripetiamo insieme: e supplico la beata sempre vergine maria...”
-cazzo, vado a vestirmi.

dopo 10 secondi sara esce in perfetta tenuta da messa: sempre con la vestaglia alla isadora duncan ma con un’incedere più consono ai tempi, tipo uno dei goonies o rosanna arquette in “cercasi susan disperatamente”.

-arrivo illy!
-sbrigati, sono le 10:29! abbiamo un minuto per farci il vialone che va in parrocchia e ci vogliono 3 minuti per attraversare la strada di fronte al bar di strozzi! se ci va di culo arriviamo mentre cantano symbolum ’80!
-ma sei scema? stamattina si attraversa di fronte alla gelateria di tino!
-ah, quella nuova! e com’è che si chiama?
-“Gel a Tino”!
-ah.

sara scende le scale esterne di casa sua che sembra ulrike mayer.

-cazzo, il confiteor! meno male che me l’hai ricordato, illy! ma lo sai che siccome tuma e bibi hanno segato il prato ieri pomeriggio a noi stamattina ci tocca di fare le righe bianche dell’area piccola?
-no, le righe dell’area piccola no!
-l’altra volta ti sei sbagliata e hai disegnato un campo da pallavolo, illy!
-e che cazzo ne so io? se i maschi ci facessero stare con loro imparerei qualcosa, ma enrico non mi caga di striscio!
-ti caga, ti caga! fa finta perché è timido, ma ti ama!

sara era –ed è- così. mi ha sempre incoraggiato in tutto e mi ha sempre dato molta fiducia in me stessa. anche quando i fatti negavano l’evidenza, lei insisteva che c’era una ragione per continuare a sperare. e comunque, all’epoca, enrico non mi cagava di striscio.

-noooooooooooooooooo!
-che c’è sara?
-ho la bici sgonfia!
-no problem: monta su che ti carico sul portapacchi.
-mi si strappano le mutande!
-toglitele.
-ma sei scema? e poi prendo il tetano!
-allora prenditi le righe dell’area piccola da fare!
-e se monto sul manubrio?
-ti prendi il tetano uguale, ma non ti si strappano le mutande.
-vada per il manubrio.

sara sale su che sembra una pantegana all’ottavo mese di gestazione. sempre che le pantegane abbiano almeno 8 mesi di gestazione. in caso contrario: sara sale su che sembra una pantegana incinta geneticamente modificata.
stiamo quasi per partire per la 24ore della parrocchia quando l’auto dei genitori di sara imbocca il viale e si ferma davanti alla mia forcella. scende sua madre, dolcissima come sempre.

-ciao bimbe, dove andate?
-a messa!
-a quest’ora?
-ma noi ci andiamo sempre a quest’ora, mamma!
-ma sono le 9:33, bimbe!

io comincio a realizzare, ma non voglio ammetterlo con me stessa.

-ma no, il mio orologio di “Mattissimo” fa le 10:33!
-ma ilenia, stanotte è scattata l’ora legale. non hai messo le lancette indietro di un’ora?
-no.
-e come mai?
-il mio orologio di “Mattissimo” è digitale. serve lo stuzzicadenti nel buchino. vado a prendere un samurai.

e mi allontano sconsolata, con la testa che sa di orologi, biciclette sgonfie e dormite sprecate. ma di righe bianche da fare, quelle no. perché io e sara eravamo in anticipo di un’ora per la messa legale.

son lì vicino,
se vuoi venire,
decidi tu!